SCELTE STRATEGICHE TRA MITO E STORIA: UN CASO DI STUDIO
LA BATTAGLIA DELL’ATLANTICO 1939-1945
“Ad impossibilia nemo tenetur”
MITI E CONTROMITI
La complessità dell’attuale visione geopolitica, focalizzata su conflitti asimmetrici, ma con prospettive di confronti ben più ampi e tecnologicamente impegnativi, rende l’analisi decisionale pressata dall’incremento dei costi e dalla rapida evoluzione dei sistemi d’arma, nonostante il supporto delle tecniche dedicate ormai ben collaudate.
In tale ambito dimostrare la validità dell’impiego ottimale delle risorse disponibili è sempre più arduo, permanendo l’incertezza previsionale dell’incidenza relativa di più fattori.
Per tali ragioni può essere interessante rivedere studi e analisi di storiche, di cui storiografia militare e tecnica si sono ampiamente occupate presentando vasta messe di dati ed estesa bibliografia, pur senza pervenire ad un giudizio storico definitivo condiviso.
La rivisitazione delle scelte operate nel passato può fornire spunti di interesse metodologico attualizzando problematiche in allora non ben evidenziatesi ma divenute più rilevanti, come gli impatti psicologici e propagandistici, il “dual use” per missioni umanitarie, la diversione strategica delle risorse avversarie.
Gli insegnamenti della guerra sottomarina in Atlantico negli anni 1939-45 offrono ancora spazio per ulteriori spunti di discussione da vari punti di vista: tecnico, scientifico, psicologico, economico. e di intelligence. Ad oggi si pongono problematiche di scelta riguardanti sistemi d’arma e le relative piattaforme, terrestri o sottomarine, la convenienza di utilizzare ancora le portaerei quale strumento del potere marittimo o droni sottomarini, che discendono dalle problematiche similari a quelle affrontate in passato.
I dibattiti sull’argomento si sono ampliati ben oltre gli aspetti tecnico-militari arrivando da un lato a creare “miti” e dall’altro a contestare gli aspetti “eroici” delle parti in campo ovvero a sminuirne o esaltare i successi, fino a giungere alla formazione di una bibliografia “sterminata” (S. VALZANIA, “U-BOOT”) anche letteraria, pur essendo ormai ben lontana nel tempo ogni possibile finalità propagandistica.
Per la propaganda fu, del resto, facile sfruttare la concentrazione dei primati di TSL affondate su pochi comandanti, mentre l’anonimo gregariato fu sempre più prodigo di sacrifici piuttosto che di vittorie, imponendo un tasso di perdite umane tra gli equipaggi tedeschi del 75%, con l’affondamento di ben 752 U-Boot (per altre fonti 783), senza considerare il valoroso seppur limitato contributo italiano (BETASOM), che si interessò attivamente all’argomento, come ricordato con la fig.1, tratta dall’Archivio LUCE:
Fig.1 – Ripresa tedesca nell’archivio LUCE
Nei casi di tesi volte a sfatare il mito (o leggenda?), che pur sopravvive dopo oltre 70 anni, si tende oggi a ridurlo a “fenomeno”, spesso associato alla conferma di una talora sostenuta insensibilità navale tedesca, ovvero alla creazione di un altro mito (contrario) considerando i successi ottenuti con enormi sforzi tecnologici degli Alleati. Per fronteggiare la minaccia furono chiamati, infatti, scienziati dalle più diverse competenze, tanto che recenti studi illustrano meglio tale tesi in chiave politica: come la Matematica difese la democrazia, non solo con la vicenda “ENIGMA”.
Tale mobilitazione di risorse intellettuali, similare a quella del progetto Manhattan, condusse addirittura a nuove branche scientifiche, come la Ricerca Operativa, che innovò le tecniche decisionali pur rimanendo riservata per molti anni (e, almeno in parte, forse ancora oggi), sviluppando la Logistica e la tecnologia del rilevamento subacqueo. Il dibattito si è così allargato a valutazioni di rapporto costi/efficacia e di costi/benefici fermandosi sostanzialmente al solo tonnellaggio affondato in relazione a quello operativamente impiegato, senza, tuttavia, considerare altri aspetti come quello puramente economico riguardanti direttamente i valori monetari in gioco ma anche gli “opportunity cost”, il “dual use” opportunamente valorizzato, e gli effetti morali della propaganda, non monetizzabili.
Gli avvenimenti bellici sono, infatti, spesso strumentalmente manipolati a scopo propagandistico, per ragioni sia politiche sia militari, come in particolare accadde per la battaglia dell’Atlantico, da ambo le parti, anticipando i criteri oggi definiti PSYOPS.
Nei tempi più recenti si è verificata una tendenza alla rilettura storica con vari studi tendenti a smitizzare la guerra sottomarina in Atlantico, come “The battle of the Atlantic: a legend deconstructed”, di E.G.Blackpool, The Mariner Mirror,Vol.105,2019, o, in lingua tedesca, “Der U-Boot Mythos in Deutschland” di N.Sutter, e “Mythos U-Boot” di L.M. Koldau, oltrre al già citato lavoro di Poddighe.
Non mancano disamine di alti vertici militari (URSS) ed anche studi italiani, quale “U-BOOT – realtà e propaganda” del già citato G.C. Poddighe.
Poiché, come sostenuto da BARTHES, è il metalinguaggio che trasforma la storia in natura, sottraendo il fatto reale alla contingenza e così creando il mito come struttura narrativa, nel seguito si tralascerà ogni connotazione letteraria od epica, limitandosi all’indagine fenomenica. Ciò conduce a trascurare aspetti rilevanti, come quelli umani, che, purtroppo, non possono essere valutati in un’arida analisi decisionale.
L’INDAGINE STATISTICA E L’INDAGINE ECONOMICA
La disponibilità di dati consente un’analisi non chiaramente univoca sui numeri riassuntivi come il limitato valore medio di successi per unità subacquea dispiegata: ad un U-Boot operativo corrispondevano mediamente dieci unità navali avversarie oltre ai mezzi aerei in azione. Si può, infatti, stimare che ad una media di 60 battelli in mare corrisposero non meno di 500 unità navali avversarie contemporaneamente in servizio di scorta e pattugliamento, non solo a difesa dei convogli, oltre alla forza aerea imbarcata e non. Nel 1943 si trovavano i mare più navi di scorta che scortate.
Se si considerano più generalmente gli effetti provocati dal potenziale rischio dell’interdizione sottomarina si possono succintamente elencare:
– il dispendio di risorse per l’organizzazione e la formazione dei convogli;
– la necessità di ridurre la velocità di crociera per non disperdere le unità più lente;
– i maggiori consumi di combustibile e dispendio di tempi per rotte più complesse al fine di eludere i “branchi di lupi”;
– l’usura derivante dal dispiegamento delle forze distolte da altri compiti, ritenuti meno importanti;
La minaccia sottomarina causava provvedimenti operativi, almeno dopo il 1942, più che proporzionali alla consistenza del numero di U-Boote in mare, rivelando come la percezione del rischio di affondamento, pur ridotto di potenzialità, causasse la continuità dell’impegno antisommergibile.
I conseguenti benefici ottenuti dalla guerra sottomarina, sono senza dubbio superiori a quanto possa esprimere il semplice tonnellaggio affondato.
Inoltre la sola quantità di merci oltre che di navigli perduti non riesce a computare il valore strategico dei beni imbarcati e non giunti a destinazione, se non come valore di surrogazione, di difficile stima e, a quanto risulta, mai eseguito. E’ certo che in tempo di guerra non è possibile riferirsi a prezzi di mercato né di produzione in relazione a materiali “rari” e irriproducibili o insostituibili.
E’ possibile tentare una valutazione economica basandosi sui pochi dati disponibili. Il danno causato agli Alleati nel corso dell’intera guerra dell’Atlantico è stato stimato in circa 1 miliardo di sterline; la costruzione di 1.157 sommergibili è valutabile in 0,136 miliardi di RM. La Banca dei regolamenti internazionali, dodicesima relazione annuale (1° Aprile 1941-31 marzo 1942), Basilea, 8 giungo 1942,pubblicò il grafico dell’andamento storico delle monete, che consente l’equivalenza monetaria sterlina/RM pari nel 1942 a circa 1,5 (cfr. fig.2)
Fig.2 – Andamento storico dell’equivalenza monetaria nel periodo ’39 – ’42
Pertanto il rapporto danno causato/perdite subite diviene 4,9. Ciò giustificherebbe sul piano monetario l’investimento nell’arma sottomarina, anche se portò alla sconfitta, non riuscendo nell’interdizione. Tale prospettiva fu espressa dal C.Amm. W. FURBRINGER che sostenne, contro DOENITZ, le scarse prospettive di riuscita del blocco della Gran Bretagna con l’impiego di “battelli ed equipaggi di valore”.
Circa la quantità enorme di battelli costruiti, pur onerosa, si può ancora considerare il sistema di interdizione come il più speditivo ed economico nei confronti delle poche alternative possibili.
Infatti, quando, dal luglio 1943, venne attuato il nuovo metodo di costruzione dei sommergibili ideato dall’ingegnere MERKER (componenti prefabbricati trasportati anche per via fluviale), il tempo di costruzione si ridusse da 11 a 2 mesi, sia pur “sotto l’assillo continuo dei bombardamenti”. Ciò, peraltro, dimostra da un lato l’interesse strategico prioritario, che gli Alleati ponevano progressivamente nei riguardi di quel settore industriale, considerato altamente remunerativo, fino a distruggere nel 1945 sugli scali 1/3 del totale degli U-Boote costruiti. Tali continui bombardamenti sugli scali, spesso localizzati sulle spiagge, e sulle basi, furono distolti da altri obiettivi, come le città, fornendo un beneficio a favore della Germania, anche se al costo delle onerose fortificazioni dei ricoveri portuali.
Le stesse risorse tecnologiche e scientifiche poste in atto per soluzioni più avanzate ma di efficacia operativa sempre meno durevole (da 30 a soli 3 mesi) erano dagli Alleati estremamente mirate e non estendibili oltre il settore marittimo.
Nei primi mesi del 1945, divenuto insostenibile il contrasto del traffico navale, gli U-Boote vennero impiegati nel Baltico, paradossalmente, nel servizio di scorta al trasporto dei profughi in fuga dalla avanzante Armata Rossa, alla fine in numero di 2.000.000, riuscendo a limitare le perdite del naviglio di soccorso.
Se l’indagine costi/efficacia incontra gli ostacoli di valutazione per voci non bene quantificabili, neppure monetariamente, l’analisi multicriteria appare difficoltosa nell’assegnazione dei pesi riguardanti gli obiettivi da valutare, arrivando, comunque, a risultati più attendibili con procedure di verifica ben convalidate quali l’analisi di sensitività.
I VINCOLI DECISIONALI
Nella visione strategica tedesca non sembra fosse presente un vero e proprio “sea power“, conetto moderno di talassocrazia, che non poteva mancare ad una grande potenza. L’assoluta mancanza di portaerei, pur presenti nelle maggiori flotte coinvolte nel conflitto limitava gravemente l’apporto di corazzate come la Bismarck, come mostrarono gli eventi bellici. Di fatto un conflitto navale di superficie non poteva essere affrontato dalla Germania, la flotta contava nel 1939 solo 250.000 t. a fronte di ben 1.950.000 t. dell’insieme del due flotte inglese e francese .
Per tali ragioni le critiche alla scelta della guerra sottomarina, concepita essenzialmente per l’interdizione di flussi strategici, non sembrano tener conto delle potenzialità industriali della Germania dell’epoca, il cui riarmo, per quanto accelerato, non poté far fronte alla precocità degli accadimenti bellici rispetto alle necessità di un’organica pianificazione.
Dal punto di vista economico il costo medio di un U-Boot era di 117.000 ReichsMark tedeschi di allora, corrispondente alla percentuale dell’1%-2% del costo totale di una unità di classe Bismarck. Pertanto, se tutto l’investimento dedicato ai sommergibili fosse stato rivolto alle navi di superficie di quella classe, il loro numero complessivo non sarebbe arrivato a 10, del tutto insufficiente ad ostacolare il traffico in Atlantico, tenuto anche conto della mancanza della copertura aerea. Inoltre la costruzione della nave da battaglia richiedeva dai tre a quattro anni, contro gli undici mesi, poi, come anzidetto, ridotto a soli due mesi del sommergibile, anche se a fronte di addestramento degli equipaggi più complesso.
All’inizio della guerra la Germania disponeva di 50 sommergibili, non tutti in efficienza, lacuna che solo a seguito della Direttiva del 9 Novembre 1939 a firma della massima autorità iniziò a colmarsi. L’incremento sensibile della flotta sottomarina si ebbe dal marzo 1943 parzialmente dovuto al presunto mito industriale di A. SPEER e alla nuova tecnologia costruttiva MERKER.
La capacità industriale tedesca riuscì così nel settembre 1944, con la devastazione di una guerra ormai perduta, a produrre oltre 200.000 t. dei tipi XXI e XXIII, pari ad oltre 4 volte il tonnellaggio della Bismarck (del quale il 40% di corazzature). Anche solo sommando i quantitativi di acciaio impiegati, ben poco essi avrebbero potuto, diversamente impiegati con applicazioni terrestri, a fronte dei 53.000 carri T34 costruiti in URSS fino al 1945, che richiesero più di 1,5 milioni di ton d’acciaio.
Gli altri sistemi navali di offesa, guerra corsara e di mine, hanno fornito risultati di gran lunga minori nell’interdizione dei traffici pur assorbendo risorse assai minori.
A posteriori è fin troppo facile riconoscere i seguenti fattori di debolezza:
– il lento addestramento e apprendimento delle tecniche di agguato e la difficoltosa perfettibilità delle tattiche, circostanza ben nota alle truppe di élite;
– un progressivo logorio per la crescente superiorità dell’avversario, in parte dovuto alla breve durata media in servizio dei battelli e in parte alla predominanza tecnologica dell’avversario;
– perdite umane estremamente elevate in percentuale e non proporzionali a quelle avversarie;
– il totale dei caduti nell’intera campagna arrivò al 75% degli effettivi (il massimo per specialità), anche se poco incidente nel totale complessivo delle perdite tedesche (3.200.000 uomini);
– la carenza informativa a causa della impossibilità della ricognizione aerea e della insufficiente intelligence; le bambole esposte nella vetrina della Quinta di New York per comunicare la rotta dei convogli alleati appare stratagemma astuto ma alquanto primitivo al confronto con la decodifica di ENIGMA, confronto ben corrispondente alla audace frase “…combattere con armi di legno” del C.te G.PRIEN, il violatore di Scapa Flow.
Tali considerazioni sulle perdite di naviglio alleato nel corso degli anni possono matematicamente rappresentarsi con l’applicazione delle equazioni di LANCHESTER sulla lotta tra due avversari di variabile potenzialità e di progressiva prevalenza di uno sull’altro, che confermano la realtà dei fatti.
Una lettura dell’analisi grafica alleata, presentata sulla cronologia degli eventi in rete (wikiwand.com), delinea con chiarezza che:
– si possono ipotizzare due fasi distinte con lo stesso andamento, esponenziale all’inizio per poi decadere dopo un massimo intermedio tali concetto:
– un avvio esponenziale per raggiungere un massimo di successi per declinare rapidamente;
– un secondo periodo con la stessa evoluzione cronologica ma amplificata nelle quantità.
Fig.3 – Cronologia degli affondamenti
Il massimo della curva complessiva si pone al centro dell’intervallo temporale, fornendo approssimativamente una curva integrale (o cumulativa) tipicamente sigmoide, il cui asintoto superiore mostra il limite massimo raggiunto di successi, insuperabile in quelle condizioni.
Probabilmente Stati Maggiori e Capi di Governo di entrambe le parti, che si occuparono in forma diretta della questione ritenuta vitale, erano edotti della probabile durata del conflitto, che è stata una delle cause dell’inesorabile declino della potenzialità di interdizione (Seapower 1939-1940: Churchill and the strategy origins of the battle of the Atlantic, A.Lambert). Lo stesso CHURCHILL scrisse nelle sue Memorie: “La battaglia dell’Atlantico è stato il fattore dominante di tutta la guerra”. La rilevanza attuale dei traffici marittimi ripropone con maggior forza la questione del “sea power”
Tuttavia, da parte tedesca, con i vincoli esposti, pare che la scelta operata sia stata obbligata, per i tempi esecutivi e i costi delle poche alternative. A tale determinazione contribuirono sia la consapevolezza di non poter mantenere i propri traffici marittimi in caso di guerra ( Direttiva OKW del 10-05-1939 contenente le conseguenti misure da intraprendere), sia l’esperienza storica della 1^ guerra mondiale e sia la tecnica navale sottomarina acquisita nel ’14-’18, sia la possibile, ma ormai tardiva, prosecuzione del vecchio programma di costruzione dei sommergibili concepito dall’Amm. R.SCHEER. L’Ammiraglio, approntando quel programma prettamente offensivo, nel 1918 già scriveva: “Alla luce dell’attuale situazione militare, l’arma sottomarina è l’unico mezzo offensivo che ci resta possibile“. Parole profetiche di chi credeva fermamente che il controllo del mare fosse essenziale per ogni vittoria bellica e che portarono alle decisioni reiterate di tentare ancora il blocco dei traffici marittimi verso l’Inghilterra secondo le dottrine di MAHAN .
CONCLUSIONI
Il solo parametro “produzione annua di acciaio” nel 1939 evidenzia l’impossibilità di una vittoria tedesca in Atlantico nel lungo periodo. La produzione USA fu circa il doppio di quella germanica e, sommando USA e Gran Bretagna, il rapporto tra Alleati (trascurando l’apporto del Canada) diviene maggiore di 2,5. Il divario di risorse avrebbe alla lunga prevalso.Infatti la cantieristica alleata produsse durante il conflitto navi mercantili per un tonnellaggio superiore dell’80% a quello affondato, tanto da consentire, sia pur con ritardo, l’enorme sforzo logistico della sbarco in Normandia.
Tuttavia l’arida disamina di una possibile quantificazione dell’esito della Battaglia sottomarina dell’Atlantico porge alcuni numeri, certo non esaurienti ma abbastanza significativi:
PARAMETRO | VALORE | UN.MISURA | NOTE |
PERDITE UMANE ALLEATE/TEDESCHE | 2/4 | N.° | compresi equipaggi militarizzati |
DANNI ALLEATI/PERDITE TEDESCHE | 4/9 | N.° | in valore monetario |
NAVI ALLEATE AFFONDATE/SOMMERGIBILI E ALTRI AFFONDATI | 4/42 | N.° | Navigli Militari e commerciali |
I rapporti risultano essere tutti maggiori dell’unità, mostrando numericamente come una scelta, pur vincolata, abbia avuto riscontri positivi assorbendo un decimo dei materiali totali disponibili durante la guerra a fronte del gran numero di battelli costruiti. Per tali ragioni è stato affermato che “gli U-boot furono, tutto sommato, un successo” con l’affondamento di 2828 (secondo altre fonti 3500) navi per oltre 15.000.000 di ton di naviglio affondato, senza contare 175 unità da guerra e una parte degli oltre 100 velivoli perduti dagli Alleati.
Superando la realtà fenomenica, la guerra dell’Atlantico mise in evidenza aspetti ben più vasti di quelli strettamente bellici, che hanno sostanzialmente contribuito allo sviluppo di tecniche decisionali innovative a fronte di nuove sfide militari e tecnologiche.
Per quanto metodi e strumenti di calcolo si siano progressivamente evoluti, fattori come superamento funzionale, sempre più rapido quanto più raffinata è la tecnologia del sistema adottato (fig.4), complicano l’approccio decisionale, ancor più oggi, per la varietà dei teatri operativi, che la geopolitica pone senza confini e, spesso, senza simmetrie dei sistemi contrapposti e senza panorami temporali attendibili.
Fig.4 – Tempi di superamento dei sistemi nel periodo (da CSRA)
L’allocazione delle risorse discende dall’individuazione del sistema ritenuto ottimale ma, come sempre, la vera incognita, che costituisce il massimo fattore di incertezza, è la durata prevedibile del conflitto, decisiva per gli esiti finali: tempo e tempestività della decisione.
(Ten. Ing. Alberto Baudà)
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
- The emerging era in undersea war, CSBA
- The Battle of the Atlantic 1939-1945: Anti-Submarine Waefare, S.Gill
- Battle of Atlantic: A logistical Perspective, M..A.Letsinger
- La seconda guerra mondiale vista dalla parte dei vinti,G. Domeneghetti
- La Battaglia dell’Atlantico,G.Cassar, RID 2/94
- Der U-Boot-Krieg, Die Jager 1939-42, C. Blair
- U-Boat, i sommergibili tedeschi, a cura di L.Leonini
- World WAR II Naval Theory in the Atlantic:Mahanian Concepts and the Carrier Escort
- Doctrine, Dieter Stenger
- Lo spionaggio nazista nella seconda guerra mondiale, J. Bogatswo